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lunedì 10 giugno 2013

Il 30 giugno ed il pilota automatico per le società pubbliche

Aggiornamento
Il Governo Letta è di recente intervenuto sulla materia, applicando anche a questo ambito il modello di "rinvio" applicato anche ad ulteriori questioni di estremo rilievo (tra tutte, la sospensione dell'IMU sull'abitazione principale).
In particolare, con l'articolo 49 del decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013 (il c.d. "Decreto Fare"), il termine del 30 giugno è stato posticipato al 31 dicembre 2014.

Di seguito il testo del provvedimento
Art. 49
(Proroga e differimento termini in materia di spending review)
1. All'articolo 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera b), le parole "30 giugno 2013" sono sostituite dalle seguenti : "31 dicembre 2013" e le parole "a decorrere dal 1° gennaio 2014" sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dal 1° luglio 2014";
b) al comma 2, le parole: "a decorrere dal 1° gennaio 2014" sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dal 1° luglio 2014".
2. Il termine di cui all'articolo 9, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135 e' differito al 31 dicembre 2013. Sono fatti salvi gli atti compiuti dagli enti, agenzie ed organismi che hanno proseguito la loro attivita' oltre il predetto termine.
Qualche tempo fa, nell'immediatezza dei risultati delle elezioni politiche di febbraio, Mario Draghi, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se fosse preoccupato per il futuro del paese, nonché il motivo per il quale i mercati non stessero approfittando della situazione di profonda instabilità politica risultante dalle urne, aveva risposta con una espressione paradigmatica: "In Italia ormai c'è il pilota automatico".
Qualcuno ha considerato quella espressione come un semplice motto di spirito, eppure in quelle parole c'è una sintesi profonda del meccanismo normativo, incisivo e preciso, posto in essere dal Governo Monti durante i suoi 18 mesi di attività.
Durante la precedente legislatura, infatti, è stato adottato un modello normativo peculiare e, si potrebbe dire, temporizzato, inserendo nei provvedimenti adottati degli automatismi che, ad orologeria, entrano progressivamente in vigore, esplicando i propri effetti.
Gli esempi sono molti e variamente noti, essendo più volte assunti agli onori della cronaca: l'aumento di un punto percentuale dell'Imposta sul Valore Aggiunto è un esempio noto a tutti; l'aumento ulteriore della pressione fiscale già previsto nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria (Dpef), costituisce un caso, un po' meno conosciuto, anche se evocato  di tanto in tanto nei dibattiti pubblici.
Ma il meccanismo è veramente pervasivo e, spesso, trascurato.
Esso, tra l'altro, riguarda anche le società pubbliche, per le quali il 30 giugno arriverà una scadenza fondamentale, alla quale troppi Enti rischiano di arrivare impreparati, con la conseguenza di soggiacere così ad precisi automatismi difficilmente evitabili.

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venerdì 7 giugno 2013

Società pubbliche: senza "trasparenza" non si può più pagare

Il 14 marzo 2013, il fu Governo Monti ha emanato un Decreto Legislativo, il n. 33, oggi ampiamente in vigore, che ha per oggetto il "riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazione da parte delle pubbliche amministrazioni".
Il provvedimento, corposo, riguarda prima facie solo le pubbliche amministrazioni, gravate da numerosi adempimenti, in parte già presenti (ma dotati di nuova cogenza), in parte del tutto inediti.
Tuttavia, il D.Lgs 22/2013 - secondo un'ormai consolidata prassi normativa (discendente dall'orientamento giuridico che assimila sempre più le società pubbliche a pubbliche amministrazioni tout court), - finisce per impattare anche sulle società partecipate e gli organismi controllati, ed in modo particolarmente incisivo.
Il riferimento va all'articolo 22, rubricato "obblighi di pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati, e agli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato".
Ebbene, questo articolo, almeno nell'immediato, rischia di paralizzare le società pubbliche, creando un problema finanziario affatto trascurabile (ovvero, il blocco indiscriminato dei pagamenti).

mercoledì 29 maggio 2013

Il Trasporto pubblico in Campania: lo “scippo” suicida della Regione

La regione Campania, con una mossa legislativa “furtiva”, ha tolto ai Comuni capoluogo di Provincia e alle Province le competenze amministrative e gestionali in materia di trasporto pubblico locale, avocandole interamente a sè. 
Questo “scippo” delle competenze si è consumato con l’approvazione della Legge Finanziaria Regionale per il 2013 (Legge Regione Campania n. 5 del 6 maggio 2013).
Il pretesto è stato quello dell’applicazione (venuta con quasi un anno di ritardo rispetto ai termini stabiliti dalla Legge) dell’articolo 3 bis del DL 138/2011 e ss.mm.ii.
Il risultato è che la Regione Campania si è creata, forse senza saperlo, un enorme problema finanziario, oltre ad aver contravvenuto in modo esplicito al principio della sussidiarietà verticale, alla legge nazionale ed al principio della semplice logicità.
Andiamo con ordine.

venerdì 10 maggio 2013

Dirigenti dentro e dirigenti fuori: il dilemma dei CDA delle società pubbliche

Sulle nomine nei consigli di amministrazione delle società pubbliche un pochino di chiarezza non farebbe male. E, soprattutto, non farebbe male che il signor Legislatore si acquietasse una volta per tutte e decidesse, in modo univoco e non ondivago, come va regolata la materia.
Andiamo per ordine.

venerdì 14 dicembre 2012

Torna l'in house


Una nuova puntata dell'infinita storia dei servizi pubblici locali. In un precedente articolo mi ero soffermato sull'articolo 4 del Dl 95/2012 (la Spending Review) che - potenza dei paradossi legislativi - impediva di affidare, in regime di in house providing, la gestione dei servizi pubblici locali, nonostante la recente pronuncia della Corte Costituzionale che invece si era pronunciata nel senso della necessaria ammissibilità di questo modello (Sentenza 199/2012).
Bene. Ora il legislatore, pur se quasi esanime e con un piede sull'uscio delle elezioni, ha approvato, con questione di fiducia, la legge di conversione del del Decreto Crescita 2.0, anche detto Decreto Sviluppo Bis (fuor di metafora il DL 179/2012). Il nuovo testo, non ancora pubblicato in gazzetta, all'articolo 34, comma 27, recita:

giovedì 8 novembre 2012

I servizi pubblici e gli obblighi occulti di privatizzazione



Nel nostro Paese, ormai da molto tempo, si sta consumando una lotta paradossale tra il Legislatore (figura sempre più anonima e non rappresentativa) ed i cittadini: la lotta, per essere chiari ed entrare subito nel merito, tra il Legislatore che, preso da una sacra infatuazione liberista, vuole imporre la privatizzazione dei servizi pubblici locali (leggi: la vendita a privati delle società pubbliche che oggi erogano questi servizi) ed i cittadini che, presi da un altrettanto sacro fuoco del "bene comune", vogliono assolutamente che i servizi pubblici locali (e soprattutto il servizio idrico) siano saldamente e durevolmente affidati alla gestione degli enti pubblici.
Sulla materia del contendere non c'è molto da dire: si tratta di due posizioni che paiono entrambe ideologiche, potendosi piuttosto ritenere che il giusto mezzo andrebbe ricercato nella possibilità delle singole amministrazioni locali (che rappresentano, o dovrebbero, il proprio territorio e la propria comunità) di scegliere come comportarsi, rimanendo la privatizzazione una possibilità, così come una possibilità dovrebbe rimanere quella di mantenere la gestione pubblica (a patto sia quantomeno equivalente dal punto di vista economico).
La storia del conflitto, d'altro canto, è nota e sembrerebbe ormai stabilmente volta alla vittoria del "bene comune": tralasciando i dettagli, nel 2008 la norma interviene imponendo l'affidamento tramite gara ed impedendo gli affidamenti diretti a società totalmente pubbliche; dopo una lunga campagna referendaria, nel 2011 questa norma (il mitico articolo 23 bis) viene abrogata dal voto popolare, spinto dalla preoccupazione per l'acqua pubblica, ma riguardante tutti i servizi pubblici locali; il legislatore interviene nuovamente riproponendo nella sostanza la medesima disciplina previgente al risultato referendario (escludendo, però, il servizio idrico); viene adita la Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale il secondo intervento legislativo, violando lo stesso la volontà popolare acclarata nel 2011.
Bene. La partita sembrerebbe chiusa. Ma non è così.